QUEL CHE SI VEDE DA QUI

L’okapi è un animale assurdo, molto più assurdo della morte, e sembra del tutto sconnesso con le zampe da zebra, i fianchi da tapiro, il corpo da giraffa color ruggine, gli occhi da capriolo e le orecchie da topo. L’okapi è decisamente inverosimile, tanto nella realtà quanto nei sogni funesti di un’anziana del Westerland.

Selma vive in un paesino del verde Westerwald e può prevedere la morte. Ogni volta che in sogno le appare un okapi, qualcuno lì intorno muore nel giro di ventiquattr’ore, minuto più minuto meno. Tuttavia, i sogni non rivelano mai chi stia per morire. E come si può immaginare, nel lasso di tempo tra il sogno e il compimento del triste fato tutti vivono in uno stato di agitazione…

Il Gruppo di lettura BLU ha discusso il libro di Mariana Leky a maggio in vista dell’incontro dei Gruppi di lettura in Veneto. Il libro, infatti, fa parte del programma Un anno vissuto letterariamente ed è stato consigliato da Fabio Bossetto libraio e socio fondatore della libreria La forma del libro di Padova.

Quel che si vede da qui è il ritratto originalissimo di un paese e della sua bizzarra comunità così come ce li racconta la piccola Luise, ormai di casa dalla nonna Selma visto che i genitori sono alle prese con un matrimonio che non funziona. Con Mariana Leky veniamo catapultati in un universo insolito, dove si vive a contatto con la natura in “una sinfonia di verde, azzurro e oro”, dove ogni gesto, ogni parola ripetuti dai protagonisti sono rituali che finiamo per attendere, pagina dopo pagina (dalla presentazione di Keller Editore).

Il libro ha suscitato molte reazioni positive nel gruppo di lettura.
Il linguaggio semplice e pacato, la delicatezza (termine emerso più volte nella discussione) nelle descrizioni, la scrittura come un fiume lento dove i protagonisti si lasciano andare alla corrente, hanno conquistato molti. Un libro “color pastello” quasi sospeso rispetto alla realtà.

Più volte è emerso, durante la discussione, il tema del “vedere“, ma, che cosa vuole dire vedere?
L’autrice ritorna più volte su questo, a partire dal prologo, in vari punti del libro e alla fine del libro.

Edda ci ha illuminato su questo tema con un collegamento al pensiero buddhista. Il tema della perdita, il non vedere più una persona cara, ha toccato corde profonde.

Tra i personaggi del romanzo, l’ottico è una figura molto interessante; in particolare mi ha colpito la domanda che lui evince da un testo buddhista e che ritorna ad interrogarlo: “quando guardiamo una cosa , essa può sparire dalla nostra vista, ma quando non ci sforziamo di vederla, essa non può sparire”. La domanda è complicata e nemmeno le sue voci interiori si “erano prese la briga di spiegargliela” finché, dopo la morte di Selma, la sua cara amica, di cui era “segretamente” innamorato, lo coglie un’immensa tristezza e, inoltratosi nel bosco si stende per terra e ne diventa parte.
D’improvviso, con gli occhi strizzati rivolti al cielo, arriva inaspettata la risposta tanto desiderata: guardare significa distinguere e quindi “ se non ci sforziamo di distinguere una cosa da tutto ciò che la circonda, allora questa cosa non può sparire…”.

Selma non sparisce se non mi sforzo di vederla”.

Questa profonda intuizione del simpatico ottico è stata associata da Edda ad uno degli insegnamenti del monaco buddhista Tich Nhath Hanh sul concetto di “non nascita, non morte”. Per esempio, un fiore è fatto di elementi di non fiore: il sole, la nuvola che lo bagna con la pioggia, insomma tutte le condizioni che lo fanno essere un fiore. E così una nuvola, per esempio, non muore mai perché si trasforma ed è dentro al ciclo della natura e della vita e anche noi possiamo immaginarci come l’onda del mare che nasce e muore ma essendo fatta di acqua torna nell’acqua e il suo essere onda è una manifestazione dell’acqua.

Il libro è risultato un libro di cura. La capacità di prendersi cura che emerge nelle relazioni tra i personaggi. La cura che il libro ha esercitato in molte lettrici e lettori del gruppo che stanno affrontando momenti difficili.

Un libro da consigliare sicuramente!

Potevamo riservare qualsiasi trattamento all’amore. Potevamo nasconderlo più o meno bene, potevamo trascinarcelo dietro, potevamo sollevarlo, portarcelo in tutti i Paesi del mondo, comprimerlo in mazzi di fiori, relegarlo sottoterra, spedirlo in cielo. Paziente e flessibile com’era, l’amore si prestava a tutto questo, ma trasformarlo non era proprio possibile. (..) Selma mi accarezzò la schiena. «Dovresti dartela a gambe, Luise» disse. Lei e l’ottico si scambiarono un’occhiata al di sopra della mia testa. Erano entrambi molto esperti di amori impossibili da trasformare (pag. 246-247)

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