DANTE E I POETI STILNOVISTI. INCONTRO CON ALDO MARIA COSTANTINI

aldo_costantiniVersi diversi

Martedì 23 aprile 2013 terzo appuntamento in Biblioteca per parlare di poesia con un docente universitario, nell’ambito della manifestazione Versi Diversi, spazi poetici per tanti versi, una ricca di una serie di eventi e iniziative tutte all’insegna della poesia, svoltasi a partire dal 1 marzo e destinata a concludersi sabato 4 maggio con un’intera giornata dedicata alla lettura di testi poetici sia in Biblioteca sia nelle strade della città di Spinea.

Questa volta è abbiamo incontrato Aldo Maria Costantini, dal 1982 professore associato di Filologia e critica dantesca, poi, dal 1998, associato di Letteratura Italiana, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia di Ca’ Foscari.


In realtà si è trattato di un gradito ritorno, perché il professor  Costantini era già intervenuto a Spinea il 19 marzo, per parlare di due donne famose della Divina Commedia, Francesca e Pia, due voci femminili che compaiono a distanza esatta di una cantica (nel quinto canto dell’Inferno la prima, nel quinto del Purgatorio la seconda) accomunate non soltanto dalla simmetria della loro apparizione, uno dei tanti omaggi di Dante agli schemi e alle complessità strutturali tipiche del Medioevo, ma anche da altri elementi più significativi e coinvolgenti per i lettori di tutti i tempi. Entrambe morte violentemente per mano del marito, entrambe donne d’amore, entrambe immagini dolcissime e struggenti, di uno struggimento più forte delle considerazioni religiose e morali, che pur Dante non dimentica mai, ma il pubblico invece preferisce ignorare. Per questo, e non per caso, dopo la testimonianza della Commedia, e ben oltre la realtà biografica (di cui si sa poco, specie nel caso di Pia), queste due donne sono diventate figure mitiche, protagoniste di innumerevoli rielaborazioni letterarie e teatrali, eroine di rappresentazioni pittoriche e persino cinematografiche. Dove naturalmente attendibilità storica e precisione filologica sono si sono totalmente dissolte nella volontà di creare personaggi di alta intensità drammatica, fortemente caratterizzati in senso romantico e sentimentale. Personaggi tragici, talvolta a forti tinte, talvolta più sobriamente modulati, invariabilmente però commoventi: e sempre un po’ artefatti.

Il Dolce Stil Novo: la dichiarazione di poetica

 Neanche nel secondo incontro Aldo Costantini ha abbandonato il suo amato Dante, ma ha spostato la focalizzazione del proprio discorso dalla Commedia ad un altro tema molto significativo per la tradizione poetica italiana.
Dopo una breve presentazione a cura di Francesco Maggiore, ha infatti intrattenuto il pubblico sui poeti stilnovisti, fra cui va annoverato lo stesso Alighieri: una lunga conversazione, interessante e piacevolissima, arricchita dalla lettura di alcuni tra i testi più emblematici della corrente poetica che proprio a Dante deve il nome di Dolce Stil Novo e costituisce una sorta di nouvelle vague sorta a partire dalla metà del XIII secolo in posizione di rottura rispetto alla produzione precedente.dante
Ciò deve intendersi non tanto nei confronti della nobilissima tradizione cortese (con la quale, pur nella diversa impostazione ideale, si possono riscontrare non pochi elementi di affinità e di continuità), quanto verso la scuola siculo-toscana e soprattutto verso il gruppo costituito da Guittone del Viva d’Arezzo e i suoi seguaci.
Di questo appunto si parla nel XXIV canto del Purgatorio, dettando i principi estetici del nuovo movimento. Incontrando il guittoniano Bonagiunta Orbicciani da Lucca, che ha riconosciuto in lui il poeta che fore/ trasse le nove rime cominciando/ “donne ch’ avete intelletto d’amore” Dante spiega: “I’ mi son un che, quando/ Amor  mi spira, noto, e a quel modo ch’e’ ditta dentro vo significando”, che è precisamente ciò che distingue lui (e i suoi selezionatissimi amici fiorentini) da Guittone e gli altri, irrimediabilmente lontani dal dolce stil novo. Compare  qui  il  proposito di interiorizzare il fare poesia per assumere una prospettiva oggettivamente introspettiva: l’io poetico rinuncia alla propria autorialità e scrive sotto dettatura dello stesso Amore.

C’è poi l’individuazione del pubblico ideale (donne gentili che “sanno d’amore”), mentre sul piano formale erroneamente i critici romantici vollero vedere teorizzate in questi versi spontaneità e rinuncia ad ogni elaborazione retorica, quando invece proprio quest’ultima è posta come principio fondamentale di una produzione che rifiuta qualsiasi concessione allo stile “basso” e che tematicamente elabora concetti ed immagini spesso tanto raffinati e rarefatti da rasentare l’ermetismo, pur nell’estrema armonia espressiva.
La dichiarazione di poetica poco dopo sarà ripresa e puntualizzata nel canto XXVI (sempre del Purgatorio), dove incontrando nientemeno che Guido Guinizzelli, Dante  ribadisce la feroce condanna della rozzezza guittoniana e saluta il bolognese come padre e fondatore della nuova corrente poetica. Con ciò si completa la sistemazione “canonica” della lirica duecentesca e si definiscono tutti gli elementi estetici, critici e classificatori dello stilnovismo in un modo tanto preciso e inconfutabile che storici della letteratura, critici ed interpreti non hanno potuto far altro che assumerli e farli propri fino ai giorni nostri. In altre parole: ancora oggi noi leggiamo, interpretiamo, classifichiamo tutto ciò che riguarda il Dolce Stil Novo (e la lirica antica in genere) secondo i criteri che ci ha fornito Dante.

I poeti stilnovisti

guido-cavalcanti-1-sizedDunque chi sono gli stilnovisti? Dante, Guido Cavalcanti, Lapo Gianni sono considerati i maggiori; Gianni  Alfani e Dino Frescobaldi i minori. Sono dunque pochi e tutti fiorentini, i primi tre anche legati da stretta amicizia.In posizione defilata, ma per ragioni diverse, troviamo poi altre due figure. La prima è Guido Guinizzelli, bolognese, di una generazione più vecchio, estraneo al gruppo ma importantissimo perché, come abbiamo detto, in lui Dante identifica l’ideatore della “scuola”. Poche sono le notizie biografiche: sappiamo che, nato intorno al 1240, fu giurista  e ghibellino. Coinvolto nelle lotte politiche della sua città, morì forse nel 1276, in esilio a Monselice.
L’altro è Cino da Pistoia, il più giovane, dotato di una visione più complessa e “modcinoerna”, per certi versi è considerato anticipatore di una sensibilità già petrarchesca.
È peraltro interessante notare che l’individuazione di Guinizzelli come “padre fondatore” del Dolce Stil Novo è in realtà un’invenzione tutta dantesca, perché il poeta bolognese inizia la sua avventura poetica come guittoniano, e anche se in seguito abbandona la maniera dell’aretino, troppo rozza ed eterogenea, nel suo scarno canzoniere lascia ben poche rime improntate ai nuovi principi. Sarà poi Dante a riprenderli, rielaborarli, elevarli al rango di poetica prescrittiva per un intero gruppo di autori. Insomma, non si può negare che Guinizzelli sia approdato effettivamente ad un nuovo modo di poetare, ma l’ha fatto in senso individuale e relativamente isolato (la sua Bologna, grande centro universitario e capitale degli studi giuridici, non è però all’epoca particolarmente vivace come vivaio poetico). Certamente egli non è il fondatore volontario e consapevole di una scuola, e se poi altri poeti si sono i dentificati nelle sue scelte artistiche, ciò avverrà per loro autonoma presa di posizione.

Un nuovo modo di intendere l’amore

Ristabilendo nell’esclusività della tematica amorosa un’ideale continuità coi provenzali e con i poeti siciliani della corte federiciana, Guido tratta dunque i temi che diverranno tipici del Dolce Stil Novo: la lode della donna angelicata, mediatrice tra Dio e l’uomo, l’analisi della fenomenologia amorosa, cioè degli effetti fisici e psicologici dell’amore, che riprende e perfeziona l’indagine sull’essenza e la genesi del fenomeno.  La proclamazione dell’identità amore/cuor gentil si colloca peraltro all’interno di una visione globale per cui   Guinizzelli, intellettuale borghese, supera la concezione feudale tradizionale e sviluppa in senso borghese e spirituale (quindi non più di casta)  l’ideale della cortesia, svincolandolo definitivamente dalla condizione aristocratica e cavalleresca.

Tutti questi concetti sono enunciati con la celeberrima canzone Al cor gentil rempaira sempre Amore, conosciuta come il manifesto della scuola stilnovistica, la cui valenza dottrinale è confermata anche dalla scelta del metro “alto” per eccellenza, in grado di consentire, rispetto al pur diffusissimo sonetto, una maggiore articolazione  concettuale e logico-argomentativa e una più nobile intonazione stilistica, per cui il testo procede quasi come una dimostrazione filosofica.
Molto originale e significativo il dialogo finale del poeta con Dio al momento del giudizio dopo la morte. Non sembrerebbe da escludervi una sfumatura autoironica: l’autore valuta criticamente le proprie esagerazioni amorose, ma finisce per trovare una giustificazione e una conferma del proprio errore. Ha osato rivolgere alla sua donna lodi che sarebbero dovute essere solo per Dio stesso e per la Madonna. Che poteva farci? Lei sembrava proprio una creatura celeste. Si è giustamente confuso, non ha avuto colpa. Ne deriva dunque la più chiara enunciazione del concetto di donna-angelo, attraverso il quale l’amore viene esaltato e sublimato, fino a sostituire in qualche modo l’esperienza religiosa, o almeno identificarsi con essa.

La lode e il saluto

Nella lirica stilnovistica l’omaggio alla donna acquisisce una coloritura filosofica, in base alla quale quello che nella lirica provenzale era il mondano servizio d’amore, permeato di connotazioni feudali, si trasforma in esperienza di fede ed obbedienza alle virtù cristiane. L’amore stilnovista trascende quindi la dimensione terrena per assumerne una puramente spirituale, ponendosi al centro di  una costruzione esclusivamente concettuale.
beatriceAttraverso la donna  il poeta stilnovista  stabilisce un rapporto con la totalità anche trascendente rispetto alla propria esistenza, perciò la donna stessa perde qualsiasi connotazione terrena e umana, e, sublimata nella dimensione della donna–angelo, diventa il tramite tra l’innamorato e Dio. O anche, volendo assumere una lettura orientata in senso laico, diventa strumento per mezzo del quale si realizza l’aspirazione dell’individuo alla perfezione e all’assoluto. Gli stilnovisti presentano quindi l’apparizione della donna come un’epifania del soprannaturale e per tale ragione riducono il corteggiamento al tema della lode e del saluto, attribuendo a quest’ultimo un ruolo salvifico e beatificante.  Come peraltro è confermato dall’etimologia del termine, che, attraverso il provenzale, deriva dal latino salus (salutem) che significa sia saluto che salvezza.
Con queste premesse, è evidente che l’amore (più precisamente, l’innamoramento) è un’esperienze del tutto interiore ed individuale, che, oltre le apparenze, esclude un reale rapporto interpersonale, nonché qualsiasi coinvolgimento concretamente erotico.
Pertanto, a prescindere dall’individuazione di una donna specifica ed esistente quale destinataria del corteggiamento e oggetto delle liriche, non esiste nessuna relazione concreta, tantomeno extraconiugale (peraltro topos diffusissimo della letteratura cortese): i poeti si limitano a contemplarla estaticamente, descrivendo poi nelle loro poesie il turbamento proprio e le straordinarie virtù di lei, angelo in terra venuto a miracol mostrare.
Fa eccezione il solo Guido Cavalcanti, per il quale l’amore rimane un’esperienza passionale, tragica e terrificante. Mentre per Dante, che assorbe invece la lezione guittoniana, ed anzi la approfondisce ed estremizza (ricordiamo che persino nella Commedia Francesca cita pressoché letteralmente la canzone Al cor gentil), questo significherà un allontanamento fatale dal poeta più anziano ed esperto il quale, solo pochi anni prima, aveva saputo riconoscere ed incoraggiare il futuro genio poetico nel giovanissimo rimatore che si era rivolto al lui con rispetto e riverenza. È la fine di una dipendenza, sarà la rottura di un’amicizia.

 Poesia e società

fig11Non è casuale che il Dolce Stil Novo, con il suo esplicito contenuto culturale e le sottili analisi psicologiche che comporta (poi sviluppate attraverso l’oggettivazione delle facoltà emotive ed intellettuali dell’uomo) abbia fortuna proprio in Toscana e particolarmente a Firenze.
In questa città, infatti, è ormai affermata e nel pieno del suo sviluppo la civiltà borghese comunale, capace di elaborare un proprio mondo di valori e di ideali. Ciò crea le condizioni più favorevoli perché gli intellettuali accolgano il concetto, intrinseco allo spiritualismo di stampo guinizzelliano, che la nobiltà vera non sia quella di stirpe, ma quella che deriva dalla gentilezza del sentire, reinterpretano appunto in senso borghese principi e temi della cultura cortese, compreso quello amoroso.
I poeti stilnovisti, consapevoli di costituire una cerchia eletta di intellettuali, ritengono di trovare nella propria superiorità culturale e spirituale le ragioni del loro prestigio. Dal contesto sociale e civile in cui vivono, e a cui dedicano spesso la loro opera con incarichi pubblici e politici (che peraltro non diventano mai argomento del loro poetare, ma possono divenire lo sfondo dove collocare l’epifania salvifica della donna), traggono poi  la sicurezza di un’affermazione che non ha bisogno di alto lignaggio.
Risultato di un rarefatto processo di elevazione e astrazione, l’amore diventa allora valore discriminante all’interno di questa nuova aristocrazia intellettuale e caratterizza un’ideologia sociale basata su una visione meritocratica dell’uomo.

Amicizia e cortesia

Per le ragioni qui esposte, nello Stilnovo viene a mancare ogni accento popolare; i poeti si sentono uniti  nell’elevatezza dello spirito e, più che una scuola poetica, costituiscono un sodalizio di amici che si riconoscono nella scelta degli ideali e dei sentimenti, oltre che nell’assunzione di un concetto aulico di poesia, quindi nell’adozione di un linguaggio selettivo e di uno stile raffinato.
Ce ne dà testimonianza sempre Dante nel sonetto Guido, i’ vorrei…, che riprende la forma provenzale del plazer, cioè l’elenco di cose piacevoli che vengono desiderate o augurate al destinatario del componimento. Il desiderio qui espresso è precisamente la  formulazione di un sogno, una fantasticheria di Dante confidata all’amico Cavalcanti, immaginando un viaggio incantato da compiere insieme a Lapo, il terzo amico, e alle rispettive donne, sulla “nave di piacere” del Mago Merlino capace di navigare senza remi e senza vele. Infine, l’ultima terzina ci riporta alla pratica dei “ragionamenti d’amore”, le raffinate conversazioni a tema  che si tenevano effettivamente nelle corti e nei sodalizi letterari e che, a loro volta, costituiscono lo spunto tematico di molti testi.adnyte cavaklcanti
Pur nella finzione del viaggio incantato, esistono precisi legami con la realtà, gli usi e la cultura del tempo: i personaggi sono realmente esistenti ed effettivamente legati da quell’amicizia e solidarietà su cui il poeta esprime una chiara consapevolezza. Questo valorizza l’ipotesi che, anche nell’assunzione della raffinata poetica stilnovistica, ad alta concentrazione retorica,  nell’atto concreto della produzione i singoli autori abbiano ugualmente espresso la loro reale umanità e il loro modo di sentire, come è anche confermato dalle differenze notevoli  riscontrabili nelle rispettive opere.

Dante stilnovista

L’esperienza stilnovista di Dante si esprime fondamentalmente in un’opera giovanile intitolata Vita Nuova e in alcune rime non confluite in quest’ultima.
Composta fra il 1293 e il 1295, la  Vita nuova è un prosimetro, cioè unisce “capitoli “ in prosa e diverse poesie, prevalentemente sonetti; queste ultime risultano da una selezione delle liriche giovanili scritte nel decennio 1283-1293, scelte in base a criteri stilistici e di coerenza contenutistica rispetto all’intreccio complessivo del libro.
Le prose (come le razos dei poeti provenzali) svolgono la funzione di spiegazione e di commento ai testi poetici, esponendo anche le circostanze dell’ispirazione e fungendo da “cornice”, in cui si raccordano e si snodano i vari episodi.
Per quanto la trama sia piuttosto esile, l’opera può considerarsi un “romanzo”, sia pur con tutti i limiti che il termine assume se riferito ad un’opera medievale; la vicenda narrata presenta una duplice dimensione: quella esistenziale e quella poetica, caratterizzandosi come trascrizione di ciò che è già registrato nel libro della memoria (topos della cultura medievale), sia a livello di avvenimenti che di produzione poetica ispirata da quegli stessi avvenimenti. Insomma, Dante- autore si propone di raccontare e organizzare l’intero materiale, osservando retrospettivamente il Dante-protagonista e presentandone le rime. La dimensione “biografica” e memoriale è perciò proiettata,  per essere interpretata, in quella letteraria del “libello”, come il poeta definisce la propria opera, con volontà solo apparentemente riduttiva.

La Vita Nuova

 Si sarebbe indotti ad interpretare la Vita Nuova come la cronaca di fatti realmente accaduti, quindi come una vera e propria autobiografia, sostenuti, in ciò, da alcuni elementi presenti soprattutto nel commento in prosa, i quali sembrano ricondurci ad una quotidianità concreta, ad un contesto cittadino reale ed autobiografico.
L’opera non deve invece essere letta in chiave naturalistica, ma come rievocazione di un percorso interiore, di un’esperienza intima, spirituale ed intellettuale, come è confermato dal fatto che, a ben guardare, ogni evento è presentato in forma ideale ed assoluta.
Potremmo forse considerarla un “romanzo di formazione”, adottando un concetto e un’espressione liberamente desunti dalla critica novecentesca, mentre si deve ricordare che l’autobiografia  modernamente intesa non appartiene alla cultura medievale. Esistevano invece modelli codificati fin dall’antichità di scrittura introspettiva e soggettiva, caricata di valenze simboliche ed allegoriche. Proposti spesso con funzione esemplare, questi testi sono tutti ben presenti nella Vita Nuova.
Dante, insomma, in questa sua opera infonde tutti gli elementi della propria formazione e cultura, sia religiosa che profana (vale a dire, per quest’ultima, classica e cortese); elabora quindi una propria personale “mitologia”, derivante dalla creazione di un sistema organico di dati personali, artistici, filosofici, variamente reinterpretabile, ma stabile e tale da rendere difficile una distinzione tra elementi reali ed elementi fantastici o simbolici.
Risponde a questo criterio non soltanto la mitizzazione di Beatrice, ma anche la creazione di figure minori, come le donne dello schermo e la donna gentile. Notevole è però soprattutto  l’autopresentazione del soggetto-Dante, secondo un procedimento, che sarà ripreso ed ampliato nella Commedia, nella quale infatti sono frequenti i riferimenti all’opera giovanile, nonché le corrispondenze sia tematiche che stilistiche, soprattutto nel Purgatorio.

Beatrice, la “gentilissima”, e le rime della loda

 Ma, alla fine, cosa ci racconta Dante?468px-Dante_Gabriel_Rossetti_-_Beata_Beatrix,_1864-1870
Ci racconta di aver incontrato per la prima volta Beatrice all’età di nove anni, a Firenze, e di essersi innamorato di lei all’istante. La rivede dopo nove anni e, ricevendone il saluto, rimane totalmente conquistato dalle sue virtù e dalla potenza di Amore. Quando tuttavia si accorge che i suoi sguardi innamorati sono erroneamente interpretati come se fossero rivolti ad un’altra donna, decide di non svelare i propri sentimenti e di alimentare invece l’equivoco per proteggere Beatrice dalle maldicenze.  Finge quindi interesse per altre,  la prima e la seconda “donna dello schermo” (altro topos della poesia cortese), tanto che Beatrice gli nega il proprio saluto. Un giorno però Dante viene colto da smarrimento e si tradisce. Attraverso una fase di angoscia e sofferenza, acquisisce una nuova maturità, sfociante nella dichiarazione di una nuova poetica: dedicherà la propria ispirazione ad esaltare le virtù di Beatrice, rivolgendosi soltanto a coloro che, esperti d’amore, ne condividono  la concezione guinizzelliana e stilnovistica. Nascono così le cosiddette “rime della lode”.

Di queste rime un testo è emblematico: il famosissimo sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare, caratterizzato da tanta fluidità e suggestione espressiva da essere considerato l’esempio più perfetto dell’ intera produzione stilnovistica.  Dante fa riferimento all’estatica contemplazione che Beatrice provoca in coloro che assistono al suo passaggio e ne ricevono il saluto, al punto tale da essere indotto a comporre nuove rime di lode per la “gentilissima”. Egli crea un contesto apparentemente quotidiano (le vie di Firenze, i commenti della gente, ecc., ma nel contempo mantiene un’atmosfera sospesa, misticheggiante, determinata dall’evento epifanico vissuto come esperienza trascendente. Nella lode sono infatti presenti tutti gli stereotipi dello stilnovismo: l’apparizione, il saluto salvifico (di derivazione guinizzelliana), l’ineffabilità dell’evento, lo stupefatto mutismo  dei presenti (di derivazione cavalcantiana). Dante inoltre riprende un po’ tutta la tradizione medievale: si avvertono echi anche del Tesoretto di Brunetto Latini, che era stato maestro del poeta, e della poesia provenzale e siciliana.

Dopo la Vita Nuova

Con le rime della loda in un certo senso sono enunciati – narrati e poeticamente espressi – tu800px-TombOfBeatricePortinaritti gli elementi più tipici dell’amore e della poesia stilnovistica. Ma c’è un seguito. Sempre nella Vita Nuova Dante infatti continua a raccontare. Durante una malattia è sconvolto dalla visione profetica della prossima morte di Beatrice, che sopraggiungerà effettivamente qualche tempo dopo. Accanto alle poesie della lode, compaiono ora versi che esprimono l’angoscia e il dolore della perdita.
Dopo circa due anni, Dante sembra finalmente trovare conforto nella “donna gentile”, che forse è in grado i coinvolgerlo in un nuovo amore (da intendersi forse come immagine della Filosofia), ma una nuova apparizione in sogno di Beatrice distoglie il poeta da questa nascente passione ed egli, pentito, è ricondotto al proposito di eterna fedeltà alla “gentilissima”, più che mai meritevole di ammirazione, ora che gode la beatitudine del Paradiso.
L’autore, quindi, dopo un’ultima visione della sua donna, chiude questa prima fase della sua ricerca esistenziale e poetica, assumendo la decisione di riprendere la lode di Beatrice solo quando sarà in grado di farlo nel modo più elevato e nobile. Che cosa accadrà, allora?  Si può intendere che questa sia un’anticipazione, almeno approssimativa, di quella che sarà poi la Commedia, il poema sacro in cui Beatrice come anima beata del Paradiso , ma ha perso completamente la connotazione  umana e per acquisire, nell’allegoria dantesca, il significato della Teologia o della Grazia rivelata.

 

 

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