GIOCHI LETTERARI: FINISCILO TU!/1

 002482211Cari amici, questa volta vorrei proporvi una cosa diversa dal solito, un gioco da fare durante l’estate: per passatempo, ed anche per gettare un ponte da qui a settembre, quasi un appuntamento per quando ci ritroveremo in Biblioteca.
Quello che segue è un racconto di cui non indicherò né l’autore né il titolo; inoltre, mi sono anche permessa di cambiare i nomi propri dei personaggi, per renderlo ancora più irriconoscibile. Ma in realtà il gioco NON consiste nell’indovinare i dati mancanti. Troppo facile!
Si tratta invece di completare il testo, scrivendo voi la conclusione che vi piace di più. Eh sì, perché , al momento, neanche quella vi sarà data… Infine, bisogna  inventare il titolo più pertinente, considerando appunto la conclusione che avete voluto voi.
Potranno bastare poche righe, perché il testo che vi passo è quasi completo. E naturalmente non c’è nessuna pretesa di raffinatezza letteraria. Scrivete quello che vi pare, come vi pare. Gli unici limiti sono quelli ovvi: niente copiature, niente oscenità gratuita e niente offese per nessuno.
Come ho detto, è un gioco: non si vince e non si perde niente: al massimo, ci rimetterete un po’ del vostro tempo, ma ci guadagnerete la soddisfazione di aver partecipato.
SCRIVETE LE VOSTRE  CONCLUSIONI NELLO SPAZIO DEDICATO AI COMMENTI, INDICANDO LI’ ANCHE IL TITOLO PROPOSTO ED IL VOSTRO NOME.

***

Con sotto il braccio un oggetto avvolto nel numero 223 de «Le notizie di borsa» Tommaso Marangoni, unico figliuolo di sua madre, entrò nel gabinetto del dottor Nicola Maria Petrini facendo la faccia acida.
«Ah, caro ragazzo!» così lo accolse il dottore. «Be’! come ci sentiamo? Che mi dite di bello?»
Tommaso batté le palpebre, si portò una mano al cuore e disse con voce commossa:
«La mamma vi manda a salutare, dottor Petrini! E mi ha ordinato di ringraziarvi… Io sono l’unico figlio di mia madre, e voi mi avete salvato la vita…mi avete curato una malattia pericolosa, e… noi due non sappiamo come ringraziarvi».
«Lasciamo andare, ragazzo!» lo interruppe il dottore, torcendo il viso dalla soddisfazione. «Io ho fatto soltanto quello che chiunque altro avrebbe fatto al mio posto».
«Io sono l’unico figlio di mia madre… Noi siamo povera gente e naturalmente non possiamo pagarvi per il vostro lavoro… e ne abbiamo rimorso, dottore, sebbene, del resto, mamà e io, unico figlio di mia madre, con persuasione vi preghiamo di accettare in segno della nostra gratitudine…, ecco, questo oggetto, che… è un oggetto molto caro, di bronzo antico… un’opera d’arte rara».

«Ma non è affatto necessario!» e il dottore si accigliò . «Perché mai?»
«No, vi prego, dottore, non rifiutate», continuò a borbottare Tommaso, svolgendo l’involto. «Con un rifiuto ci offendereste, me e mamà… L’oggetto è molto bello… di bronzo antico… Ci viene dal mio povero papà e l’abbiamo conservato come un caro ricordo… Il mio papà comprava bronzi antichi e li rivendeva agli amatori. La mamma ed io continuiamo il mestiere di papà…»
Tommaso svolse l’oggetto e solennemente lo posò sul tavolo. Era un piccolo candelabro di vecchio bronzo, lavorato artisticamente. Rappresentava un gruppo: sul piedistallo stavano due figure femminili nel costume d’Eva e in pose, a descriver le quali non mi basta né l’ardire né il temperamento. Le figure sorridevano civettuole e in generale avevano l’aria di essere pronte, se non avessero avuto l’obbligo di sostenere il candelabro, a saltar giù dal piedistallo per organizzare nella stanza un tal baccanale da non poterci neppure pensare senza vergognarsi.
Vedendo il regalo, il dottore si grattò subito dietro un orecchio, si raschiò la gola e indeciso si soffiò il naso.
«Sì, l’oggetto è veramente molto bello», mormorò, «ma… come dire, non è…non è abbastanza letterario… Non è neppure scollacciato, ma lo sa il diavolo che roba è…»
«Ma come, perché?»
«Lo stesso serpente tentatore non avrebbe potuto inventare qualche cosa di più sconcio… A metter sul tavolo una tale fantasmagoria, significherebbe insudiciare tutta la casa!»
«Che strana concezione avete dell’arte, dottore!» disse Tommaso offeso. «Questo è un oggetto artistico, guardate! Tanta bellezza ed eleganza che l’anima si riempie di un sentimento di venerazione e vengono le lacrime in gola! Vedendo una tale bellezza, ci si dimentica delle cose terrene… Guardate quanto movimento, che massa d’aria, che espressione!»
«Lo capisco benissimo, mio caro», lo interruppe il dottore, «ma io ho famiglia, qui scorrazzano i bambini, vengono delle signore».
«Certo, se si guarda dal punto di vista della folla», disse Tommaso, «ma un oggetto di così alta arte deve essere guardato sotto un’altra luce… Ma, dottore, siate superiore alla folla, tanto più che col vostro rifiuto voi offendete profondamente me e la mamma. Io sono l’unico figlio di mia madre… voi mi avete salvato la vita… Noi vi diamo l’oggetto più caro che abbiamo… e io mi rammarico solo che voi non abbiate un altro candelabro uguale per far la coppia…»
«Grazie, tesoro, vi sono molto grato… Salutatemi la mamma, e in nome di Dio, giudicate voi stesso; qui ci razzolano i ragazzi, vengono delle signore…
«Non c’è da convincere», disse Tommaso tutto lieto. «Questo candelabro lo mettete qui, accanto a questo vaso. Che peccato che non ci sia la coppia! Un vero peccato! Arrivederci, dottore».
Uscito che fu Tommaso, il dottore guardò a lungo il candelabro, si grattò dietro l’orecchio e rifletté: “L’oggetto è magnifico, non c’è questione”, pensò, “e buttarlo via è peccato… Lasciarlo qui è impossibile… Uhm! Un bel problema! A chi lo potrei regalare o offrire?”
Dopo una lunga riflessione, si ricordò di un buon amico, l’avvocato Battiferro, al quale era debitore per la difesa di una causa.
“Benissimo”, decise dentro di sé. “Come amico non accetterebbe da me denaro, e sarà molto elegante presentargli in dono un bell’oggetto. Porterò a lui questa diavoleria! Del resto, è scapolo e caposcarico…”
Senza rinviar la cosa, il dottore si vestì, prese il candelabro e si recò da Battiferro.
«Salve, amico!» disse, trovando l’avvocato in casa. «Sono venuto… sono venuto per ringraziarti, caro, delle tue fatiche… Denaro non vuoi prenderne; accetta perciò questo oggettino… ecco, caro… Una cosuccia, ma una magnificenza!»
Vedendo la cosuccia, l’avvocato fu preso da indescrivibile entusiasmo.
«Accidenti che pezzo!» esclamò ridendo, «che il diavolo se lo porti, ci vuol proprio il diavolo per inventare una cosa simile! Stupendo, magnifico! Dove hai trovato una tale bellezza?»
Riversato l’entusiasmo, l’avvocato guardò la porta come se avesse timore e disse:
«Solo, fratello caro, portati via il regalo. Io non lo prendo…»
«Perché?» il dottore si spaventò.
«Perché… perché da me vengono mia madre, delle clienti…, e anche di fronte alla donna di servizio mi fa scrupolo».
«No, no, no… Non puoi rifiutare», il dottore fece un gesto con le mani. «È una porcheria da parte tua! Un oggetto d’arte… quanto movimento… espressione… Non voglio nemmeno parlare! Mi offendi!»
«Se si potesse ricoprirlo un po’, metterci delle foglie di fico…»
Ma il dottore fece un gesto ancora più energico con le mani, saltò fuori dal l’appartamento di Battiferro e, soddisfatto di essersi liberato del regalo, tornò a casa… Dopo che egli fu uscito, l’avvocato osservò il candelabro, lo palpò da tutte le parti con le dita e, come il dottore, a lungo si ruppe la testa sul problema: a chi fare un regalo?
“L’oggetto è bellissimo”, rifletteva, “buttarlo via è un peccato, tenerlo in casa è indecente… Meglio di tutto, regalarlo a qualcuno… Ecco, porterò il candelabro questa sera al comico Ciccarelli. Quella canaglia ama questo genere di oggetti e stasera è la sua serata d’onore…”
Detto fatto. La sera stessa il candelabro, accuratamente avvolto, fu portato al comico Ciccarelli. Per tutta la sera il suo camerino fu affollato di uomini che venivano ad ammirare il regalo: per tutto il tempo il camerino risonò di esclamazioni entusiastiche e di risate, simili a nitriti.
Dopo lo spettacolo il comico scrollò le spalle, allargò le braccia e disse: «E ora dove metto questa porcheria? Io vivo in famiglia! E da me vengono delle attrici. Non è una fotografia che la puoi nascondere in un cassetto!»
«E voi, signore, vendetela», gli suggerì il parrucchiere, che lo stava svestendo. «Qui nel sobborgo c’è una vecchietta, che compra vecchi bronzi…

ADESSO FINISCILO TU!

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