FRED VARGAS, La cavalcata dei morti, Einaudi, 2011
Gruppo di lettura L’italia in giallo, 23 maggio 20113
Diversamente dai giallisti italiani dell’ultima generazione, alcuni dei quali abbiamo imparato a conoscere grazie al gruppo di lettura L’Italia in giallo, Fred Vargas non considera il romanzo poliziesco un’occasione per indagare e rappresentare i mali della società contemporanea. I suoi romanzi vogliono essere piuttosto una proposta di distensione ed evasione, offrendo al lettore la possibilità di rifugiarsi in un mondo parallelo a quello della vita reale, un mondo di finzione e immaginazione dove a dominare sono la fantasia e l’attrattiva di una dimensione “altra”, alternativa a quella vera. Perché è questa, secondo Fred Vargas, la prerogativa che distingue – che ha sempre distinto sin dalla notte dei tempi – l’uomo da tutti gli altri esseri viventi e che nei secoli ha trovato espressione nelle varie creazioni dell’arte e della letteratura, del cinema e del teatro.
Le fasi della scrittura
Forse anche per questo motivo i suoi romanzi nascono da motivazioni ed input molto diversi dalla semplice attenzione alla cronaca: una frase, un’immagine, un motivo narrativo proveniente dalle fonti più eterogenee ed impensate si impone alla sua mente e non la abbandona più, fino a che da quell’elemento ancora informe e privo di contesto non nasce una storia completa, complessa ed articolata in tutte le sue parti.
Anche se poi inevitabilmente qualche collegamento finisce per rendersi necessario, il punto di partenza non riconduce quasi mai all’attualità. Anzi, i primi spunti narrativi, e poi soprattutto, l’ambientazione, il background dei personaggi, persino la stessa scena del crimine (perché di crimini e più specificamente di omicidi si tratta, anche se raccontati in modo del tutto originale e atipico) possono essere spesso qualcosa di molto lontano – cronologicamente e culturalmente – dalla quotidianità contemporanea, anche da quella particolare di un commissariato di polizia. Generalmente Fred Vargas preferisce partire, infatti, da un elemento scientifico o storico, rievocare un fatto o una situazione che appartiene ad un passato ormai remoto, o magari è evocato da una leggenda, da un dato folkloristico oggetto di studi archeologici o antropologici. “Colpa” della sua formazione e degli interessi anche professionali nel campo dell’archeozoologia, dell’archeologia e degli studi medievali per conto del CNRS (Centro Nazionale delle Ricerche Scientifiche).
La fase della scrittura è frenetica e dominata dall’ansia. Stesura e completamento della trama si esauriscono in appena tre settimane; ma ciò che esce da questo primordiale processo creativo è ben diverso da ciò che sarà poi la storia nella sua forma finale. Segue, infatti, una lunghissima fase di revisione e riscrittura, che può comportare anche sei o sette diverse versioni del testo. Obiettivo da raggiungere non sono solo l’articolazione e la coesione della trama, ma anche la sonorità del discorso e l’efficacia dell’affabulazione, a cui sovrintende con consigli e critiche – severissime, a quanto sembra – la sorella Joelle, a cui faranno seguito gli altri familiari. Solo dopo l’approvazione di tutti costoro l’opera può considerarsi pronta, e allora si licenzia da sé, si distacca da chi l’ha ideata, composta e scritta, come un frutto maturo si stacca dall’albero.
Ne derivano dei noir (polar nella definizione francese, ovvero abbreviazione di police noir) che sono in realtà dei romanzi originalissimi, basati su storie complesse e misteriose, dove passato e presente si sovrappongono e si confondono in un’atmosfera indistinta ed evocativa, piena di suggestioni, rimandi ed allusioni.
Ciò accade anche ne La cavalcata dei morti, ambientato come il precedente Nei boschi eterni, in Normandia e precisamente nel villaggio contiguo alla foresta di Ordebec, nei pressi di Lisieux, dove si verificano fatti ed che rimandano al folklore ed a leggende popolari risalenti addirittura all’ XI secolo. Le stesse leggende e lo stesso folklore trattati a livello scientifico da vari studiosi, fra i quali, ad esempio, il noto antropologo Carlo Ginziburg: perché va ricordato che nei libri di Fred Vargas evanescente e soffusa di mistero rimane la narrazione, ciò che alla fine si propone all’attenzione del lettore in cerca di evasione, ma lo studio e la ricerca che ne sono il presupposto culturale ed operativo rinnegano qualsiasi approssimazione o semplificazione.
La vicenda: orrore e mistero
Dunque la vicenda. Un’orrida schiera di fantasmi capeggiata dall’oscuro sire Hellequin è apparsa di notte nella foresta alla giovane e candida Lina, che vive con la madre vedova e tre fratelli (tutti piuttosto strani e variamente disturbati) in un paesino sperduto normanno. Sono solo le farneticazioni di una visionaria ingenua e forse un po’ “diversa”? Oppure c’è qualcosa di vero?
Secondo la credenza popolare, la cui origine si perde nella notte dei tempi, l’apparizione della cavalcata furiosa è un segno soprannaturale, un presagio di morte che incombe sul villaggio. Per questo la madre di Lina scende dalla Normandia fino a Parigi per chiedere aiuto al commissario Adamsberg, di cui ha sentito parlare dal viceparroco (è il riferimento ad una precedente avventura normanna del commissario, raccontata nel romanzo intitolato Nei boschi eterni). Teme che la figlia sia accusata e forse persino linciata proprio per l’annuncio funesto di cui è portatrice; non si fida di nessuno e, disperata, viene dunque a chiedere protezione dall’unica persona che per lei risulta affidabile.
Adamsberg, che nulla sa di Hellequin e della sua masnada, è piuttosto scettico, ma suo malgrado rimane colpito e coinvolto dalla sincera angoscia della povera donna. E finisce poi per essere intrigato da una leggenda antica di cui l’erudito vice Danglard conosce invece molti particolari. Così decide di interessarsi al caso e parte per la Normandia, dove sarà accolto malvolentieri dall’ambiguo comandante della polizia locale.
Mentre la ricerca iniziale procede tra incertezze, imprevisti e false piste, si verifica una serie di morti inspiegabili. Sono collegate alla masnada dei morti? I paesani ne sembrano convinti e terrorizzati, ma lo scetticismo di Adamsberg lo porta invece verso altre ipotesi e percorsi investigativi. Scoprirà che, se anche l’apparizione della “caccia selvaggia” è espressione di morte annunciata, ciò non sempre accade per effetto della Masnada di Hellequin, quanto di un astuto assassino, che sfrutta abilmente la credenza e il terrore popolare nel tentativo di seminare il panico e confondere le acque, allontanando da sé i sospetti. Magari con la complicità, o quanto meno l’indifferenza di investigatori che, a loro volta, hanno qualcosa da nascondere. I numerosi omicidi che si susseguono non hanno alcuna matrice ultraterrena ma sono il frutto di una mente criminale del tutto umana e umanamente interpretabile. Adamsberg, con pazienza e col suo metodo “laterale” apparentemente sconnesso e privo di logica, riuscirà a smascherarla svelando, nel contempo, anche le numerose manchevolezze del comandante Emeri.
Intanto, però, mentre l’indagine a poco a poco si dipana, emerge una varietà di rivelazioni per cui l’immagine del villaggio si fa sempre più cupa ed inquietante. Segreti inconfessabili, tare psichiche, rapporti familiari torbidi e violenti, soprusi e abusi, tragedie sepolte dal tempo e dalla paura riaffiorano lentamente e a poco a poco cambiano totalmente lo scenario che si era presentato inizialmente agli investigatori (e ai lettori). Così questo angolo di Normandia, così isolato, arretrato, fiero delle proprie tradizioni ma anche inesorabilmente ancorato ad ataviche usanze e ad incredibili pregiudizi, non è più un luogo pittoresco, miracolosamente indenne e incontaminato come si credeva all’inizio, ma piuttosto il regno della depravazione e della brutalità.
Un poliziesco anomalo
Anche qui, dunque, come in tutti i polizieschi, (un rom’pol, secondo la definizione dell’autrice, derivante dall’abbreviazione di un file contenente il relativo testo), chi indaga alla fine scopre il colpevole e lo consegna alla giustizia.
Tuttavia, nei libri di Vargas, così ricchi e complessi, qualcosa di diverso c’è. Tanto che qualcuno ha addirittura invocato il cosiddetto “decalogo di Knox” per dimostrare come la scrittrice calpesti sistematicamente tutte le regole codificate per il genere. In realtà, indipendentemente dalla maggiore o minore importanza che si voglia attribuire al canone, l’originalità e il carattere atipico, se non addirittura anomalo sono evidenti anche agli occhi del lettore più ingenuo e naif.
Intanto, come accade ne La cavalcata dei morti, spesso la narrazione si mantiene in bilico tra realismo e leggenda, tra aderenza alla contemporaneità ed evasione nel mondo del “meraviglioso”, sfiorando quasi il genere della fiaba (con una punta di horror, che del resto non manca mai nelle fiabe vere). Così, come osserva la stessa Vargas, forse anche con una punta di rammarico, nei suoi libri, pur essendo presenti morti e omicidi, nonché varie manifestazioni di crudeltà, mancano totalmente la tensione e la suspence proprie dei thriller: nessuno ha paura, nessuno soffre, le vittime in qualche modo risultano esse stesse colpevoli o inconsapevoli e, inoltre, non lasciano neppure uno strascico di dolore o di affetti infranti, perché ciò sarebbe emotivamente insostenibile, innanzitutto per la stessa autrice.
Anomale possono considerarsi anche la varietà e l’origine dei motivi narrativi, cui peraltro talvolta si accompagna una certa artificiosità della trama complessiva. E poi il modo in cui è condotta l’indagine, la colpevolezza di personaggi che dovrebbero essere tutori dell’ordine o comunque al disopra di ogni sospetto, come ad esempio il medico legale, come accade per esempio nell’altro romanzo “normanno”, intitolato Nei boschi eterni. Per giungere, infine, alla soluzione del caso e alla conclusione della vicenda (comprese le varie “diramazioni” secondarie), che avvengono spesso con modalità non del tutto ortodosse o poco professionali, dove motivazioni personali e pulsioni private costituiscono l’input per l’azione investigativa o per iniziative autonome e scoordinate dei singoli poliziotti. Ma destinate poi, comunque, a rivelarsi risolutive.
La squadra
Il gruppo che lavora al fianco di Adamsberg è davvero molto particolare, e a ciascuno dei componenti è riservata una rilevanza davvero inconsueta, almeno per un poliziesco.
Ma qui, ancora una volta, non siamo certo nell’ambito della casualità, bensì di una consapevole scelta autoriale. Fred Vargas, dichiara, infatti, di amare i propri personaggi, di considerarli quasi degli amici di cui non si stanca e da cui non desidera separarsi, quanto piuttosto ritrovarli di libro in libro, di storia in storia, seguendoli nell’evoluzione del loro carattere e del loro vissuto, anche privato e sentimentale. E questo vissuto è un background complesso e spesso doloroso, per cui questi poliziotti, pur sempre ligi al dovere e sostanzialmente solidali, nonostante le impreviste capriole delle loro relazioni interpersonali, il più delle volte appaiono frustrati, delusi, bastonati dalla vita, e perciò umanamente molto veri.
Accanto al commissario Adamsberg, troviamo il vice Adrien Danglard, il suo collaboratore “storico”: coltissimo, metodico, pacato. Nonostante sia stato abbandonato dalla moglie con cinque figli, di cui uno non suo, non ha perduto la dolcezza dell’esercizio affettuoso della paternità né la precisione del lavoro investigativo. Anzi, spesso è in grado di riequilibrare con la propria sterminata erudizione e la regolarità del metodo la svagata maniera di procedere propria del commissario, cui lo lega un affetto tenace e persino un po’ geloso.
In opposizione, Veyrenc: introverso, ombroso, testardo, talvolta sospettoso nei confronti dei suoi stessi compagni di squadra. Soprattutto Danglard, con cui vive un rapporto infantilmente conflittuale per la rivalità nella corsa verso l’approvazione da parte di Adamsberg. Salvo poi mostrasi solidale e persino disposto a sacrificarsi e a rischiare sulla propria pelle per togliere dai guai il collega in difficoltà.
E poi c’è lei, Retancourt, la gigantessa bulimica dal cuore dolcissimo e dall’improbabile nome di Violette, capace di risolvere qualsiasi problema pratico con la sua intelligenza pragmatica, oppure con le sole risorse della sua incredibile prestanza fisica. Violette non ha dubbi: il suo attaccamento al commissario è sicuro, costante, incondizionato. E sinceramente ricambiato, seppure talvolta con qualche perplessità, che non deriva dall’incertezza, ma dallo stupore con cui lui, Adamsberg si rapporta a questa donna veramente straordinaria.
Altri personaggi minori contribuiscono poi a costituire la squadra Anticrimine del Tredicesimo Arrondissement: e anche questi minori, sì, ma tutti egualmente eccezionali e in qualche modo “estremi”. Eppure, proprio dalla loro compresenza, ovvero dalla pluralità di diversi elementi tutti un po’ sopra la righe, nasce l’equilibrio. Come nella vicenda si definiscono i contorni della cooperazione e si rafforza l’efficacia del lavoro di squadra, così, a livello narrativo paradossalmente deriva una coerenza espressiva che conferisce al romanzo, pur nella complessità della scrittura e nella varietà dei percorsi tematici, una sua struttura compatta e organica.
Il fascinoso Adamsberg
In mezzo alla sua piccola corte che si contende le sue attenzioni, sta lui, Jean-Baptista Adamsberg, lo “spalatore di nuvole”, che ama passeggiare in riva alla Senna e riempie il blocco di informi scarabocchi. Ma, nonostante le apparenze, nelle sue improvvise illuminazioni, non è mai approssimativo, e neppure del tutto istintivo. La sua è piuttosto un’incessante riflessione introspettiva che, per vie traverse ma sicure, gli consente di raccogliere e classificare dati e lo porterà poi alla definitiva comprensione del tutto. Sembra indifferente e distratto, ma la sua apparente nonchalance altro non è che accettazione totale della vita in tutti i suoi aspetti ed infine , per quanto in modo non canonico, egli sa riservare a chi gli sta accanto, siano i collaboratori o i protagonisti dei vari legami affettivi variamente articolati, una buona dose di comprensione e di riguardi.
Proprio perché così universalmente disposto all’accettazione, Adamsberg sa capire, tollerare, persino proteggere le rispettive ragioni di insoddisfazione, i difetti e le debolezze. Del resto, umanamente parlando, lui stesso manchevolezze ne ha tante, a partire da un vissuto sentimentale a dir poco disordinato. Infatti proprio nella Cavalcata dei morti si trova a conoscere un po’ meglio Zerk, nientemeno che un “nuovo” figlio, comparso dal nulla nel precedente Un luogo incerto (2008 in Francia, 2009 in Italia) e ora interprete di un ruolo rilevante nella vicenda. Un giovane uomo del tutto ignoto ed inaspettato da affiancare al piccolo Thomas, nato dalla relazione ormai “evanescente” con la musicista Camille. Adamsberg, per quanto colto di sorpresa, lo accoglie e lo prende con sé, imparando a poco a poco a conoscerne la personalità già definita e positiva. La disponibilità apparentemente distratta, che è la cifra inconfondibile del suo carattere, nasconde infatti una grande apertura ed anche, senza nessuna enfasi retorica e neppure la minima dichiarazione esplicita, un sentimento che, comunque si voglia vederlo, altro non è che amore paterno.
Quanto all’aspetto letterario, l’arrivo di Zerk, elevato a tutti gli effetti allo stesso rango degli altri collaboratori del commissario, arricchisce la serie di un nuovo personaggio ricco di risvolti umani e di spunti per l’articolazione del racconto, aprendo la strada ad un ulteriore filone narrativo, la storia nella storia (o sub-story), com’è tipico dei libri di Fred Vargas.
Solo una donna…
Ormai probabilmente tutti sanno che Fred Vargas è il nom de plume di Frédérique Audouin–Rouzeau, derivato dall’abbreviazione del nome e dall’assunzione, quale cognome, dell’ pseudonimo adottato dalla sorella gemella Joelle pittrice (in arte Jo Vargas) e a sua volta mutuato dal personaggio interpretato da Ava Gardner nel film La contessa scalza. Insomma, un gioco, uno scherzo, anzi “una farsa”, come ammette la stessa scrittrice in un’intervista. Forse il travestimento al maschile non è stato premeditato sin dall’inizio, ma è innegabile che ci siano cascati in molti, compresi alcuni critici autorevoli, e certo per anni Fred si è divertita a mantenere l’equivoco.
Confesso che quando ho letto per la prima volta un suo libro, ovvero L’uomo dei cerchi azzurri, apparso in Italia nel 2007, anch’io ero convinta che si trattasse di un uomo. Però…però c’era qualcosa che non mi convinceva. E la nota discordante era data proprio dalla descrizione di Jean-Baptiste Adamsberg, che vi fa la sua prima apparizione nelle vesti di commissario protagonista.
Mi pareva, infatti, che il modo in cui veniva osservato, curato e caratterizzato non potesse essere frutto di una mente maschile: solo una sensibilità altra poteva notare certi particolari, soffermarsi su alcuni dettagli, cogliere e valorizzare atteggiamenti e gesti anche minimi, così come apparivano dalle pagine del libro. In altre parole, solo una donna poteva descrivere un uomo non bello, non brillante, non elegante e farlo apparire ugualmente attraente; solo una donna poteva trasformare un tizio trasandato, stropicciato e svagato in una figura interessante e persino fascinosa.
In seguito, di storia in storia, la personalità di Adamsberg, il commissario che la scrittrice predilige, ma che, nella vita, preferirebbe frequentare come amico piuttosto che come amante, si è arricchita e definita con maggiore precisione, come appare ormai con tutta evidenza ne La cavalcata dei morti, che, senza contare gli iniziali tentativi di scarsa fortuna editoriale, è ormai l’undicesimo titolo della serie. Polizieschi anomali, come si è detto, ma romanzi a tutto tondo. Che, per la loro particolarità, si possono gradire moltissimo o detestare con altrettanta convinzione. Leggerli è un atto di fede, apprezzarli, un atto d’amore.