LA NUOVA INDAGINE DEI BASTARDI DI PIZZOFALCONE

MAURIZIO de GIOVANNI: Buio, Einaudi, Torino 2013

Gruppo di lettura L’Italia in giallo

La squadra

buioNel  secondo  libro della serie dei Bastardi di Pizzofalcone, il recentissimo Buio,  ritroviamo tutti i componenti della squadra, ormai comunemente definita  con un epiteto che voleva essere infamante, ma che sempre più velocemente va perdendo la connotazione negativa, assumendo piuttosto la valenza di una sfida: non più il marchio del disonore, ma quasi un titolo di merito. Dopo la brillante conclusione della prima indagine, di chiudere quel Commissariato nato sotto tanti cattivi auspici ora non si parla più, ed anzi a poco a poco vanno dissolvendosi anche i timori che qualcuno, in alto nella gerarchia istituzionale, voglia avocare a sé i casi più spinosi o delicati  che per competenza territoriale spettano  ai Bastardi. Il gruppo è unito, solidale, efficiente, pur nella enorme disparità delle personalità, dei caratteri, delle situazioni esistenziali. Merito anche del commissario Palma, qui ben evidenziato in tutta a sua umanità cordiale e generosa, che sa trasformare un ruolo professionale di comando in un rapporto di collaborazione amichevole e rispettosa delle diverse individualità.

Lavoro di squadra, dunque, il che significa anche coralità narrativa: nessun personaggio emerge nettamente sugli altri, nessuno si impone come protagonista assoluto, neppure l’ispettore Lojacono, che sembrava inizialmente destinato ad assumere la parte di primo attore. Piuttosto si confermano e definiscono le diverse caratterizzazioni precedentemente solo abbozzate, per lo più nei tratti della solitudine e del dolore, in qualche caso evidenziandosi con maggiore chiarezza e intensità,: l’omosessualità di Alex di Nardo, le ossessioni di Giorgio  Pisanelli, il difficile equilibrio psicologico di Francesco Romano, non a caso detto Hulk.

Si precisano anche le relazioni reciproche, spesso di stima o di simpatia, talvolta di attrazione e desiderio. Si intensifica il rapporto tra Lojacono, ormai per  tutti il Cinese, e il magistrato Piras, ora molto più sicuri di sé e delle proprie emozioni. Anche perché lui, sempre silenzioso ed introverso, appare però più sereno e meglio integrato nella sua nuova città, che non gli sembra più così assurda ed ostile. Merito della fiducia che colleghi e superiori ora gli concedono senza riserve, dopo le prime diffidenze sorte dalla sua fama di poliziotto colluso con la mCRO SAN GIOVANNI VIA DELLE REPUBBLICHE MARINARE OMICIDIO(NEWFOTOSUD)afia: false accuse di un pentito, mai provate, ma paradossalmente mai totalmente smentite in un regolare procedimento giudiziario.
E merito anche della presenza di Marinella, la figlia adolescente che da Palermo lo ha raggiunto e ha riaperto quel  fittissimo dialogo col padre che si era interrotto proprio per le tristi vicende professionali di Lojacono. La ragazza sembra intenzionata a restare stabilmente a Napoli, per occuparsi di lui, in realtà soprattutto perché la città le piace e le consente di sottrarsi al rapporto conflittuale con la madre. Peccato solo che la sua sia una presenza “forte” e l’amore filiale di Marinella abbia una significativa componente di gelosia, irrimediabilmente in contrasto con la nascente relazione del Cinese e Laura Piras.follow-me-murad-osmann-17
Ancora più accidentato e incerto è il percorso che porta Ottavia Calabrese, detta Mammina verso il commissario Palma. Qui si tratta di un sogno, l’ombra di un’emozione che non può nemmeno definirsi pensiero razionale, perché la condizione familiare di lei non consente neppure l’ipotesi di una realizzazione concreta. Sempre attento nella resa dei caratteri e delle emozioni, Maurizio De Giovanni tratta con mano particolarmente delicata l’insorgere di questo sentimento che non ha il coraggio di affermarsi, un richiamo che ha paura della propria stessa forza, nato dall’incontro di due anime sole. Per ora prevale la consapevolezza dell’impossibilità, la negazione, persino il senso di colpa: ma è una sete che non si placa, e un giorno chissà…

Marco Aragona, detto Serpico (magari!)

Tra i componenti della squadra prende comunque un certo rilievo la figura di Marco Aragona, il ragazzo venuto dalla provincia, ricco e raccomandato, che ci terrebbe tanto ad emulare Serpico, il celebre personaggio cinematografico. O almeno ad assomigliare ai poliziotti dei suoi amatissimi telefilm americani su cui sembra aver fondato tutta la propria cultura. E infatti è ignorante, maleducato, vanesio e fracassone; ma è anche sinceramente innamorato del proprio lavoro e dotato di un’intelligenza acuta, che lo porta ad intuizioni fulminanti e alla capacità di cogliere prima di chiunque altro i nessi importanti tra indizi e informazioni. Sintetizzandoli per lo più in una battuta volgare o quanto meno inadeguata, ma, nella sua grezzezza, di un’efficacia estrema e spesso dirompente. Aragona ha insomma il dono di dire le cose giuste nel modo sbagliato, e soprattutto senza la minima preoccupazione diplomatica o di galateo, senza rispetto per niente e nessuno. Privo di educazione e di cultura, è pure libero da tabu e conformismi, non si arresta né davanti alle apparenze di perbenismo né di fronte alle convenzioni sociali, e proprio per la sua rozza brutalità è in grado di spiazzare tutti, risolvendo parecchie situazioni di stallo da cui poliziotti più anziani ed esperti di lui non erano stati in grado di uscire. falchi_polizia
Ma poi, anche dentro quel petto glabro e  lampadato, pulsa un cuore capace di provare emozioni e teneri sentimenti. E nella fattispecie, a dispetto di tutti i pregiudizi razziali, a farne accelerare i battiti è la bella Irina, la cameriera slava che gli serve favolose colazioni nell’albergo di lusso dove il giovanotto (troppo pigro per gestirsi autonomamente una qualsivoglia sistemazione!) alloggia da nababbo con i soli di papà. Marco Aragona però sa anche provare moti di indignazione nei confronti di chi compie soprusi e malversazioni, e persino, a modo suo, sa commuoversi, quando le vittime sono creature innocenti ed indifese come il piccolo Dodo. Certo, questi nobili impulsi per esprimersi non sanno trovare altro che le formule più becere e maldestre, ma quello che conta è la sostanza. E di quella in effetti ce n’è da vendere. Così, accolto inizialmente con fastidio per la nomea di raccomandato, poi sbeffeggiato per le manie americaneggianti, per i tic e le idiosincrasie infantili, Marco a poco a poco riesce a farsi apprezzare dai colleghi, prima di tutti proprio da Lojacono, uno che appunto bada al sodo, senza fermarsi alle apparenze. E infatti sarà proprio il Cinese a capire e a voler giustamente valorizzare il ruolo significativo che il ragazzo è in grado di ricoprire nell’indagine per liberare il bimbo rapito.

 La vicenda

 Buio è il titolo di questo libro, e cupa è in effetti la sensazione che si ricava dalla vicenda, una storia agghiacciante di sequestro e ricatto. Agghiacciante soprattutto perché il rapito è un bambino di dieci anni, sottratto alla classe con cui era in visita ad un museo cittadino e rinchiuso appunto nel buio e nel freddo di un nascondiglio con l’unica compagnia di un pupazzetto di Batman. E con una sola parete di fragile lamiera a separarlo dall’orrido mostro che lo tiene prigioniero e che continuamente lo terrorizza con le sue esplosioni di violenza. Anche se poi la vera anima nera è un’altra, quella che davvero comanda e che per tutto il tempo del sequestro dà prova di una crudeltà lucida e perversa. Per di più si tratta di una persona che il piccolo Dodo conosce bene e di cui infatti si è fidato, seguendola senza alcun sospetto. Del resto il mandante è qualcuno che nessuno mai, neanche nelle ipotesi più assurde, potrebbe arrivare ad immaginare: proprio chi più di chiunque altro avrebbe dovuto rassicurarlo e proteggerlo contro qualsiasi pericolo.imagesww

Come sempre, il movente del rapimento è il denaro, che tra i familiari di Dodo non fa certo difetto e determinerà la consueta richiesta di riscatto. I genitori,  infatti, direttamente o per interposta persona, sembrano entrambi in grado di assecondare le pretese dei malavitosi: lei, perché figlia di un boss del settore immobiliare, facoltoso e potente, più che per i suoi capitali, per le relazioni e le clientele lecite e illecite che intrattiene ed alimenta nonostante la vecchiaia e la malattia. Lui, perché imprenditore lombardo, ritornato al Nord dopo la separazione dalla moglie, a sua volta ricchissimo, o almeno ritenuto tale. In realtà la vicenda si snoda evidenziando competizioni, rivalità, ge13084156-ragazzo-triste-adolescente-depresso-a-casa-problemi-di-famiglialosie, rancori, e soprattutto un groviglio di intrallazzi ed interessi che fanno dei  personaggi e delle reciproche interazioni un covo di vipere solo convenzionalmente chiamato famiglia. Non si salva nessuno, né tra i parenti più stretti, né tra chi è in qualche modo assimilato in seguito alla costituzione di nuovi rapporti o alla lunga consuetudine delle frequentazioni. Non compare tra essi nessun barlume di solidarietà, nessun moto di  riconoscenza o apprezzamento, nessuna manifestazione di affetto, se non il comune e conclamato amore per Dodo. Che però, in qualche caso, rimane tutto da dimostrare.
E, nel finale, il particolare più inquietante: perché il libro si conclude senza che sia possibile comprendere con chiarezza quale sia la sorte del piccolo. Qualcosa di terribile è accaduto certamente, come apprendiamo all’ultima pagina. Ma cosa? Non è dato saperlo. Né sappiamo se, in questa storia senza luce e senza remissione, esiste ancora lo spazio  per un’ulteriore evoluzione, o tutto deve considerarsi tragicamente concluso.

Del resto, seppure in modo diverso e per diverse  ragioni, non meno sinistri sono i due casi secondari di cui si deve occupare la squadra dei Bastardi. Un caleidoscopio di azioni criminose: così si può definire uno dei due casi, incentrato sulla presenza di un losco figuro, apparentemente imprenditore e uomo d’affari, in realtà usuraio e truffatore, ideatore e protagonista di una rete di misfatti in campo fiscale e finanziario, estesa a livello internazionale. E non esente da diramazioni delittuose inevitabilmente collegate alla malavita organizzata. È questo il carattere più oscuro della storia, ma, benché si tratti di fatti gravi e preoccupanti proprio perché tristemente verosimili, il racconto assumchirurgia-esteticae talvolta toni surreali e grotteschi, mentre la conclusione della vicenda, svelando alcuni retroscena imprevedibili, riserva particolari che risultano addirittura esilaranti.

Di tutt’altro tenore l’ultimo caso, che in realtà è la continuazione di una storia già emersa nel volume precedente, I Bastardi di Pizzofalcone, e collegata alla figura di Giorgio Pisanelli, ora soprannominato il Presidente, ovvero il vecchio poliziotto da sempre in forza al Commissariato, che dopo la morte per suicidio dell’amatissima moglie, malata terminale ed incapace di resistere al dolore della malattia (o, più precisamente, incapace di resistere alla previsione di questo dolore), continua ad inseguire i propri fantasmi ed ossessioni. E non si capacita di fronte alla spaventosa escalation di morti volontarie di anziani che continua a verificarsi nel quartiere: morti che, a suo parere, presentano troppi risvolti inspiegabili e sospetti. Ed in effetti ha ragione, ma le sue indagini per il momento non portano a nulla, se non a farlo old-man-779116-mderidere dai colleghi, più o meno indulgenti verso le manie di un uomo troppo solo e provato dalla vita.

Ma al lettore è dato invece il privilegio di sapere qualcosa di più, ed è qui che l’aspetto più agghiacciante dei fatti emerge in tutta la sua evidenza. Noi sappiamo  chi sia il colpevole – e già questa identità appare sconvolgente – ma siamo costretti a vederlo agire impunemente, senza che nulla e nessuno intervenga a fermarlo. Non possiamo far altro che lasciarlo scegliere le vittime ad una ad una, approntare la sua azione, metterla in atto, sparire dietro un’immagine insospettabile e rassicurante.
L’espressione “lucida follia” è certamente trita ed abusata, ma è esattamente ciò che ci vuole per definire la condizione dell’assassino, che “aiuta” gli anziani a suicidarsi convinto, nel suo macabro delirio, di assolvere a una missione benefica, liberando i derelitti dalle pene della vita terrena, dalle angustie della povertà, della solitudine, della malattia. La mano omicida si identificherebbe dunque con la mano misericordiosa di Dio: se però non fosse che quei vecchietti miserandi non hanno nessuna voglia di morire e, se potessero,  chiederebbero solo di poter continuare, bene o male, la loro consueta esistenza, fino alla sua più naturale conclusione.
Ma per il momento non si muove nulla. Se il Presidente, pur nell’esattezza della sua intuizione, non è in grado di provare alcunché ed anzi ignora quell’inquietante identità che invece è nota al lettore, la storia naturalmente non può concludersi. Anche questa vicenda infatti rimane sospesa: il libro si chiude, per chi legge, con questa con questa pesante consapevolezza e con l’attesa di una nuova puntata, ovvero di un nuovo romanzo, per sapere (forse) come va a finire.1ec20a252d789d5e5b753b40257c4889-17165-d41d8cd98f00b204e9800998ecf8427e

 Il libro

Ecco, a questo punto mi sembra che subentri qualcosa di poco convincente. Questa caratteristica della scrittura seriale che consente di rinviare la conclusione di una storia da un libro all’altro, senza che  a richiederlo sia uno snodo narrativo imprescindibile, non mi piace e mi sembra un espediente artisticamente non necessario (forse un’imposizione editoriale?) e non del tutto rispettoso delle esigenze del pubblico. Insomma, a mio parere, anche all’interno di una serie ciascun titolo dovrebbe – e potrebbe – essere in sé concluso e totalmente autonomo, mentre l‘eventuale conoscenza di ulteriori testi dovrebbe costituire per il lettore un valore aggiunto, ma non la condizione obbligatoria ai fini della comprensione della vicenda.

Per il resto, Maurizio De Giovanni anche in questo romanzo non si smentisce: il suo stile è sapiente, ricco, impreziosito dalla patina linguistica partenopea, più marcata ovviamente nei dialoghi, sempre efficaci e spesso addirittura di fulminate incisività. La struttura del racconto è abilmente concertata armonizzando le pagine a maggiore potenziale drammatico con quelle di tono più lieve, ed è  resa ancora più accanapoli667ttivante dall’alternarsi del fatto principale con inserti di tipo diverso (evidenziati dall’uso del corsivo), secondo un impianto narrativo che abbiamo già conosciuto nelle opere precedenti dell’autore. Qui,  a vari personaggi è consentito esporre i propri pensieri, le paure, i sogni, attraverso una scrittura fortemente interiorizzata, dove assume un’evidenza preminente il discorso indiretto libero. Si tratta innanzitutto del bambino rapito, ma anche di altre figure minori, talvolta apparentemente solo delle comparse, ma in realtà personaggi-simbolo di una certa condizione sociale o esistenziale. A questi è affidato il ruolo di comporre l’affresco di una Napoli borderline, a volte crudele, a volte generosa, ma sempre struggente e bellissima. Una città traditrice, culturalmente stravolta e socialmente sinistrata, dove i “cattivi” non necessariamente sono colpevoli: a volte, sono vittime anche loro, povera gente disperata, da sempre perseguitata da un destino impietoso, gente illusa, che non ha saputo trovare la strada giusta per uscire dalla palude della propria miseria. E dove invece la vera perversione può ammantarsi sotto la veste del benessere e della rispettabilità.
Lo stile della narrazione si fa allora più teso ed intenso, a tratti addirittura poetico: si vedano, per esempio, le bellissime pagine incentrate sulle insidie portate dal maggio napoletano. Qui si rivela e si conferma tutta la maestria dello scrittore. E si dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che quando lo scrittore c’è,  la produzione di genere, quanto a dignità autoriale e capacità di suggestione,  non ha proprio nulla da invidiare a qualsiasi altra forma letteraria.

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