UNA DONNA IN FUGA

MARCELA SERRANO: Nostra Signora della Solitudine, Feltrinelli, Milano, 2001

Oaxaca: solitudine silenzio

booksNostra Signora della Solitudine (Nuestra Seňora de la Soledad), a cui si intitola il libro della scrittrice cilena Marcela Serrano, uscito nel 1999 ed approdato in Italia nel 2001, è una delle tante raffigurazioni della Vergine Maria, particolarmente diffusa e venerata in America Latina accanto alla Madonna di Guadalupe. E infatti proprio così è denominato il grandioso santuario di Oaxaca, l’antica città messicana fondata dagli aztechi, meta di pellegrinaggi e teatro di appassionate manifestazioni di devozione che tanto coinvolgono i fedeli quanto attraggono turisti e visitatori. Ma Oaxaca non è soltanto tradizione, colore e folklore intesi nell’accezione più diffusa e superficiale, è molto di più. Un luogo dal fascino sottile ed impalpabile, dove si respira un’aura arcana, data dalle vetuste memorie indigene e dalle inconfondibili tracce del suo destino coloniale. Un città magica, in cui le rovine dei templi convivono con le cattedrali barocche, città di luce e di segreti, di vicoli silenziosi e mercati brulicanti di vita, di giardini nascosti e piazze ventose.

450px-BasilicaVirgenSoledadOaxaca2E su tutto, una natura circostante sontuosa e lussureggiante, capace di ammaliare con la sua ineffabile bellezza, ma anche di distruggere con una violenza incontenibile. Proprio il riferimento a questo Messico arcaico e misterioso – luogo dell’anima dell’autrice, che vi ha abitato a lungo e che qui trasferisce ai suoi personaggi una predilezione che prima di tutto è sua – è la principale ragione di suggestione per il pubblico, specie italiano e forse europeo, benché si tratti di un’emozione indotta dall’esotismo del luogo, ma non necessariamente scaturita dalla vicenda in sé o dalla sapienza descrittiva della Serrano: insomma, piuttosto elaborata dall’immaginario del lettore stesso. ns_de_la_soledad_de_oaxaca_2-250x413Lector in fabula, come diceva Umberto Eco.
Un ulteriore elemento di interesse del libro può essere l’occasione di riflessione sul concetto di solitudine, anzi di solitudini. Perché di questo stato d’animo esistono tante e diverse forme, come sempre quando sono in gioco i percorsi dell’interiorità. La Serrano poi sembra voler giocare con l’ambiguità, suggerita sin dal titolo, per cui “signora della solitudine” potrebbe essere riconosciuta proprio la protagonista principale, non a caso essa stessa scrittrice. Ma ancora una volta, la riflessione, se e quando scaturisce,  è frutto del sentire individuale e soggettivo di ciascuno, più della ambigua e non dimostrata profondità del testo.

Un tema significativo è la solitudine interiore, il senso di vuoto che ci può assalire anche e soprattutto in mezzo agli altri, quando ci si sente stranieri nel proprio mondo, perché le tendenze pimages333iù spontanee della nostra personalità non riescono a farsi strada nel riscontro e nel riconoscimento nelle persone che ci circondano o nelle situazioni in cui siamo costretti ad intervenire. L’effetto di straniamento che deriva da questa alienazione di sé può essere davvero devastante, eppure reagire non è facile, come ci dimostrano purtroppo le numerose immagini vere di depressione che tanto spesso ci capita di incontrare nella nostra esperienza quotidiana.
Esiste però anche un tipo di solitudine tutto diverso, ben più gratificante e costruttivo. È la solitudine per scelta, voluta e tenacemente preservata come un bene prezioso da chi è giunto alla saturazione e al disgusto di fronte ai condizionamenti e ai compromessi della vita, con i numerosi ruoli che essa comporta ed impone (ricordate Pirandello?). Questa insomma è la fuga verso la salvezza, la ricerca di una nuova autenticità attraverso l’isolamento ed il silenzio.  Per ritrovare se stessi e la propria interiorità, per ritornare ad essere liberi da ambiguità e finzioni, dopo aver spezzato quelle catene che magari un tempo ci erano sembrate ovvie e forse addirittura desiderabili.
Anche e soprattutto di questo parla il libro di a marcela serrano, facendo compiere alla protagonista una scelta estrema e totalizzante, quella che almeno una volta nella vita tutti sognano di fare, anche se poi i sogni tendono a rimanere nel cassetto. Forse però sulla radicalità e la necessità di alcuni comportamenti narrati nel libro si potrebbe trovare qualcosa da eccepire. Come discutibile è, a mio parere, la ragione fornita nell’epilogo dalla voce narrante, qui decisamente identificabile con l’autrice, per giustificare la scelta di Oaxaca quale ambientazione e meta della fuga per la vita. La motivazione viene infatti ricondotta alle e caratteristiche storiche della città, in contrapposizione all’attuale stato di qualsiasi ipotesi di autenticità. Questa località del Messico, invece, in quanto geograficamente remota e culturalmente ibrida, si sarebbe mantenuta paradossalmente vergine e sembra porsi come luogo deputato della solitudine. Ma è proprio questo che non mi persuade, l’avervi voluto assegnare una specie di primato ricorrendo a considerazioni storiche e antropologicamente determinate, quando invece, a mio parere, dovrebbe trattarsi di un’indicazione squisitamente ideale. Perché raccontare la ricerca di sé attraverso l’isolamento in un luogo specifico è strumentale e necessario, ma non dovrebbe intendersi come dato oggettivo e assoluto, bensì solo come metafora di una condizione interiore. Del resto, ci sono parecchi altri motivi per cui questo romanzo, certamente complesso e molto ambizioso, non riesce ad essere narrativamente del tutto convincente. Ci torneremo in seguito: intanto vediamo che cosa racconta.

Carmen e gli altri

indexSantiago del Cile, 1997. Una scrittrice di grande successo, metà cilena e metà americana sparisce senza lasciare traccia nel corso di un convegno letterario a Miami. La polizia statunitense, dopo aver indagato inutilmente per un tempo ragionevolmente lungo, dichiara forfait ed archivia il caso senza esserne venuta a capo. Di Carmen Lewis Avila non è rimasto nulla, nessun segnale, nessun indizio che possa indicare il percorso da seguire per rintracciarla. È morta? È stata rapita? È sparita volontariamente? Il marito non si rassegna a questo vuoto di informazioni e si rivolge ad un’agenzia privata di investigazioni affinché arrivi là dove non è arrivata la polizia. Il caso è affidato a Rosa Avallay, che con la donna scomparsa condivide una buona conoscenza del Messico, dove entrambe hanno abitato in passato.

Raccontata in prima persona dalla stessa investigatrice, comincia dunque una ricerca che procederà tra interviste, trasferte, analisi testuali, persino appostamenti e travestimenti, fino a far affiorare schegge del vissuto di Carmen, particolari di vita rimossi o tenuti volutamente nascosti e certamente ignoti al vasto pubblico dei suoi ammiratori. Dalle testimonianze di chi le era in vario modo vicino il carattere e la personalità della donna emergono in una luce sempre diversa, che muta a seconda del grado di empatia che essa era riuscita a creare intorno a sé. Il primo interrogato è naturalmente il marito stesso, rettore universitario molto ricco e molto perbene, e anche ben c450px-Monumento_Plaza_Italia,_Santiagoonsapevole del proprio prestigioso ruolo sociale. In realtà, non così irreprensibile come sembra, ma questo si scoprirà solo alla fine, quando verrà alla luce qualche suo inconfessabile vizietto. Tomàs Rojas ha sposato Carmen in seconde nozze, abbandonando di punto in bianco  la prima moglie che gli aveva dato una figlia (ovviamente ostile alla giovane matrigna). È sconvolto dalla sparizione, ma assolutamente convinto che lei sia viva, magari rapita da qualche gruppo rivoluzionario, o forse aggregata di sua spontanea volontà…
Non così però la pensano gli altri testimoni, ciascuno portatore di una nuova ipotesi: la cameriera, gli amici, i colleghi scrittori. E naturalmente esistono le pagine scritte dalla stessa Carmen. A poco a poco prende forma il ritratto di una donna dalla personalità complessa, dal temperamento focoso e un po’ zingaresco, uno spirito libero, forse eccessivamente esuberante, infantile, egocentrico, ma anche sincero, generoso, incapace di calcolo e di finzione. L’infanzia è stata però oscurata da eventi dolorosi e traumatici  che le hanno lasciato cicatrici profonde, tali da condizionare per sempre la sua personalità. Soprattutto sconvolgente è stata la latitanza e poi la definitiva assenza dei genitori, due hippy vagabondi e incapaci di occuparsi di lei, che hanno finito per perdersi tra gli incensi di un  monastero buddhista in India. Carmen ne riporta un perenne senso di sradicamento, né riuscirà mai a superare il dramma dell’abbandono. Ma una parentesi un gran parte felice saranno poi gli anni passati in Messico dopo il distacco totale dai genitori. Anni di avventure, amori e sconsideratezze, vissuti sempre con passione e grande slancio sentimentale. Anni anche di frequentazioni intense ma pericolose – come quella col leggendario comandante Monti, capo di un’unità rivoluzionaria colombiana – e di relazioni clandestine talvolta mortificanti. Da cui le resterà una messe di ricordi e un figlio, Vicente.DSC_1902

Ancora Carmen: disincanto e  ribellione

Una delusione più dolorosa delle altre spingerà infine Carmen a rientrare prima negli Stati Uniti e poi in Cile, dove la dittatura intanto è finita e l’orizzonte politico sembra destinato a schiarirsi. E in Cile avviene l’incontro che le cambierà la vita: Tomàs Rojas, già conosciuto in Messico alcuni anni prima. Lui è un uomo solido, arrivato, rassicurante. Proprio quello di cui lei ha bisogno, dopo tante tempeste che hanno minato la sua istintiva gioia di vivere trasformandola in una creatura tormentata ed incerta. Nel porto tranquillo della rispettabilità di Rojas, Carmen sembra riacquistare fiducia ed entusiasmo, tranquillizzata anche riguardo Vicente, che con il patrigno ha potuto instaurare un bellissimo rapporto affettivo.
Ma Rojas con la sua  autorevolezza e il suo perbenismo non è tipo da poter rendere felice una donna come Carmen. Non a lungo, almeno. Anche perché, pur innamorato, non ne accetta la personalità troppo istintiva e libera, ma anzi cerca di plasmarla a propria immagine e somiglianza, orientandola ad uno stile di vita e di comportamento consono alle sua aspettative sociali e mondane. Stile che in verità è solo suo e a Carmen proprio non appartiene. Per qualche tempo, forse per il perdurare di un sentimento di gratitudine, lei cerca di adattarsi, si mostra docile e deferente, ma non si mette molto a scoprire come la rispettabilità di lui non sia altro che prevedibile conformismo, superficialità e voglia di affermazione.

E intanto a poco a poco la sua vera natura comincia a spegnersi in una sensazione sempre più marcata di disagio, fino a coagularsi in un nucleo doloroso di disadattamento. stritolata nella morsa della finzione che si fa ogni giorno sempre più pesante, Carmen comincia a morire. Solo la scrittura le può offrire ancora la possibilità di rigenereazione e sopravvivenza. La predilezione va al genere noir, in cui niente è come sembra. Appunto come nella sua vita. Carmen scrive e trova  un rifugio tutto suo lontano dalla prigione che la opprime, fino ad inventare il personaggio di Pamela che, nato con intenzioni diverse, diventerà a poco a poco   l’alter ego in cui condensare la pena e le ossessioni della sua vita passata e presente. Di lei dice infatti l’amica Jill: Riusciva a scrivere soltanto quando si immergeva completamente nel dolore. 800px-Oaxaca_centro
Ma poi nemmeno questo basta più. Parallelamente all’odio sempre più profondo e incontenibile per la vita a cui si è ridotta, Carmen arriverà a odiare e a voler annientare la sua creatura, che ormai si è trasformata in un doppio inquietante con cui non accetta più di identificarsi. Se vuole salvarsi dovrà voltare le spalle a tutto questo, ritrovare se stessa e la propria identità autentica. Tanto più che anche il labile legame che la univa al marito si è miseramente spezzato di fronte alla consapevolezza che il rispettabile rettore Rojas ha anche lui tanto da farsi da farsi perdonare, un tradimento squallido e umiliante che uno spirito libero come Carmen non può tollerare a lungo. Ed è la ribellione.  Group-of-Three-Navajo-Blankets

Rosa: disincanto e rassegnazione

Al prezzo di vari incontri sudaticci e di snervanti scarpinate nel caldo assassino dell’estate cilena, poi di nostalgiche trasferte nell’amato Messico, l’investigatrice Rosa Avallay arriverà alla verità sulla sparizione di Carmen Lewis Avila. E sarà una verità in parte diversa e lontana dalle aspettative iniziali, così come il personaggio della scrittrice riserverà alcune sorprese relative al suo passato, mentre poi gli sviluppi conclusivi della vicenda possono apparire un poco prevedibili. RTEmagicC_petra_-_messico.JPG
A mano a mano che l’indagine procede non è però solo Carmen che progressivamente di disvela ai lettori. Anche Rosa a poco a poco viene allo scoperto, con i suoi sentimenti, i dubbi, le fragilità e le poche sicurezze che le porta un’età ormai più che matura. Divorziata, single, ormai consapevole che nulla potrà più cambiare radicalmente nella sua esistenza, vive con due figli adolescenti, osservando con qualche apprensione il declino di un fisico in espansione e il disagio di una vita incasinata, più per le intermittenze del cuore che per vera incapacità organizzativa. Il montare delle emozioni è catalizzato dall’incontro con l’ex marito Hugo, fascinoso medico un tempo molto amato, con cui ha mantenuto un rapporto amichevole. Per alcuni contatti di cui necessita nel suo lavoro, Rosa lo consulta e si reca lei stessa a Città del Messico, dove con lui aveva abitato felicemente per alcuni anni e dove Hugo tuttora risiede, avendo deciso di prolungare indefinitamente l’esilio cominciato ai tempi della dittatura cilena. Qui Rosa, insieme al fascino inestinguibile di un Paese già molto desiderato, troverà con sollievo il perdurare degli affetti e dell’antica complicità. E, in tempo di bilanci esistenziali, non potrà sottrarsi ad una punta di rassegnato rimpianto.
Alla fine, raggiunta quella verità che potrebbe essere la soluzione del caso, una nuova consapevolezza riguardo le esigenze dell’anima suggerirà ad una Rosa ora non più investigatrice, ma solo donna accanto ad un’altra donna, il comportamento più giusto da tenere. Che coincide col riconoscimento della volontà di Carmen e la conseguente decisione di  rispettare il suo diritto di compiere liberamente le proprie scelte di vita.

Il libro: un’occasione sprecata?

Amore, letteratura, storia, politica, avventura: in questo libro c’è davvero di tutto, e tutto è discusso, analizzato, spiegato. Peccato che sia poco raccontato. Si può dire che sia un’opera intensa e ricca di significato? Forse. Si può anche definire avvincente? Un romanzo che cattura il lettore con la molteplicità delle sue suggestioni? Questo proprio no, non si può dire. Purtroppo la storia è farraginosa, confusa, costruita in modo caotico, senza che sia ben chiara la collocazione narrativa, non tanto come identificazione di un genere canonico di appartenenza (che sarebbe il male minore), quanto come  capacità di far comprendere cosa voglia essere e dove voglia andare a parare. E infine, anche per le suddette incertezze della narrazione, il racconto è contorto, lento e irrimediabilmente noioso.

Nostra Signora della Solitudine comincia come un giallo e per un po’ procede in questa direzione, costringendo il lettore a vari equilibrismi spazio-temporali per seguire la ricostruzione della personalità e del passato della donna scomparsa. Poco male: flash-back e polifonia narrativaimages sono frequenti nei polizieschi e nei gialli in genere proprio perché funzionali al lavoro di “acquisizione dati” e, mentre aiutano l’investigatore, contemporaneamente forniscono al lettore le informazioni necessarie per la comprensione. Ma queste tecniche richiedono mano ferma e sapiente capacità di orchestrazione. Qualità che invece qui sembrano mancare quasi completamente alla Serrano, che pure è autrice autorevole e prestigiosa, considerata dalla critica una delle voci più significative della nuova narrativa cilena. Per di più non sa resistere alla tentazione di introdurre nel racconto brani di testi diversi (appunti, pagine letterarie, interviste, utilizzati a mo’ di testimonianza o di indizio utile all’indagine. Ancora una volta, nulla di nuovo o di strano. Ma è il tempismo che fa difetto, ragion per cui ogni ulteriore elemento, anziché arricchire il ritratto del personaggio principale, conferendogli spessore e intensità per maggiore giustificazione del suo agire nella vicenda, non fa altro che rallentare l’azione, risultando in definitiva del tutto inutile.

Per contro, verso la fine del libro, quando finalmente il mistero sta per svelarsi, assistiamo ad una brusca inversione di tendenza, come se adesso l’investigatrice Rosa volesse assumersi il ruolo di prima attrice, imponendosi alla ribalta non tanto per le sue prestazioni professionali, quanto per il suo vissuto personale, portando lunghe elucubrazioni anche su questioni soggettive, intime, esistenziali. Questioni irrilevanti per il tema principale del racconto, significative soltanto per Rosa, appunto per i confronti e le correlazioni che è lei stessa, arbitrariamente, a stabilire.

E infine, nell’ultimo capitolo, l’intera biografia della donna scomparsa, e soprattutto la causa e la motivazione anche remota dei fatti, sono riportate di seconda mano, sintetizzate, e direi banalizzate, a posteriori, anche con l’aggiunta, rispetto a quanto già si sapeva,  di nuovi particolari alquanto truci. L’investigatrice  ne viene a  conoscenza grazie all’intervento di un testimone decisivo (che poi solo testimone non è, avendo anzi un ruolo importante negli eventi stessi). È come se a questo punto l’autrice, consapevole della scarsa chiarezza delle parti precedenti, sentisOaxaca Cropped 510x340se la necessità, e forse il dovere, di utilizzare la voce narrante per sistemare in una versione più ordinata e scorrevole quanto fino a quel momento era stato presentato in modo troppo intricato. Mette in ordine la cronologia ed esplicita i rapporti consequenziali tra gli eventi. Chiarisce le motivazioni, spiega le intenzioni. Ma non fa mai comparire direttamente sulla scena quel testimone, ovvero impedisce che il dialogo rivelatore – che secondo logica deve pur essere avvenuto fra testimone e investigatrice – diventi materia narrativa. Questa però non è una scelta espressiva che possa risultare artisticamente efficace, anzi è la vera e propria negazione del romanzo in quanto tale.
E al lettore, dopo la non trascurabile fatica sostenuta per arrivare fino alla fine, non è neppure concesso il piacere della scoperta affidata ad un vero racconto che possa definirsi tale.

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